È una storia che parte da lontano. Ogni popolo, ogni civiltà l’ha considerata in un modo diverso.
Nella preistoria mentre l'uomo si dedicava alla caccia, le donne si specializzarono nella raccolta di bacche commestibili, radici e frutti. Si ritiene che fossero impegnate per gran parte della loro vita da gravidanze, allattamento e cura della prole, fossero meno mobili e si dedicassero alla raccolta dei vegetali commestibili e dei piccoli animali. Come compito primario quello di procreare, come si dedurrebbe dal fatto che nelle sculture vengono evidenziati gli organi connessi alla riproduzione: a scapito delle altre parti del corpo, il ventre e i fianchi sono decisamente prominenti, il seno voluminoso e il volto è inespressivo.
Nella Grecia omerica la donna veniva rispettata ma, molte erano le contraddizioni. Nell'età di Pericle la donna ricca era tenuta in casa, mentre le donne povere erano costrette a lavorare e quindi avevano una certa libertà. Le donne non avevano diritti politici (non potevano quindi votare o essere elette membri dell'assemblea, durante l'età delle polis) e non erano oggetto di legislazione giuridica (una donna non era colpevole, ad esempio del reato di adulterio, a differenza dell'uomo, perché ritenuta "oggetto del reato"). Nella società greca alle donne era vietato assistere a qualsiasi manifestazione pubblica, oltre che praticare qualsiasi attività sportiva (ad Atene), mentre a Sparta potevano dedicarsi a sport di tipo esclusivamente ginnico (danza, corsa, ecc). In occasione dei Giochi olimpici alle donne non era nemmeno permesso di avvicinarsi al perimetro esterno del santuario, pena la morte. Secondo un’antica tradizione si diceva addirittura che, se mai una donna avesse praticato una qualche attività sportiva, grandi sventure sarebbero arrivate in seguito a tutto il genere femminile. Ciò conferma la condizione di inferiorità a cui era soggetta la donna nella società greca.
Le donne etrusche, invece, potevano banchettare con i loro uomini sedendo a loro fianco. Questa magica civiltà usava avere mogli in comune, esse avevano grande cura per il corpo. Non è vergognoso tra loro farsi vedere nude. Erano buone bevitrici e anche di bell’aspetto. Allevavano tutti i bambini che nascevano anche se non sanno chi è il padre. Creò scandalo nei. Romani, i quali desideravano per la loro donna castità e serietà, «casta fuit, domum servavit, lanam fecit». Il vino era severamente proibito alle donne dal "Mos Maiorum". Una delle prime "leges regiae" stabiliva, infatti, i motivi per i quali una donna poteva essere condannata a morte su insindacabile giudizio dei parenti stretti o del marito che eseguivano anche la condanna. Fra i reati punibili con la pena capitale troviamo sia il rapporto sessuale
illecito sia l’aver bevuto vino che secondo le credenze poteva provocare l’aborto. La pena più frequente era la morte per inedia. Fabio Pittore nei suoi Annali, ad esempio, racconta di una donna che, dopo aver cercato di prendere la chiave della cantina, era stata lasciata morire di fame dal marito.
Quella per inedia era considerata dagli antichi una delle morti meno crudeli, ma non era la sola pena riservata alle amanti di Bacco. Roma solo in età Repubblicana diede le chiavi della cantina alle donne, nonostante ciò godevano di ampie libertà, libertà legate sempre alla tradizione. Partendo dal termine matrona e dal mondo che porta con sé. Nell’antica Roma indicava una donna di rango elevato e di grande moralità. Deriva a sua volta da mater, madre. È qui racchiusa la sua essenza, il mistero della vita. Nasce da qui la nostra matrona meridionale, la divinità del focolare protetta dal suo uomo ma, pilastro portante della sua famiglia. Difficile sradicare una tradizione, una mentalità. Alle donne spettano le faccende di casa e sono tenute lontane da un mondo pericoloso. La storia, però non sempre rispetta una tradizione ed una guerra la ignora e stravolge totalmente.
La prima guerra mondiale coinvolse due generazioni di uomini, allontanati dai loro lavori e per anni al fronte, costrinsero le loro donne ad uscire di casa per andare a lavorare. Non fecero altro che fare quello che sapevano già fare nelle loro quattro mura. Proprio in una camiceria persero la vita un gran numero di donne. Era il pomeriggio del 25 marzo 1911, ed un incendio iniziò all’ottavo piano della fabbrica Triangle Factory uccise 146 operai di entrambi i sessi. La maggioranza di essi erano giovani donne italiane o ebree dell’Europa orientale. Poiché la fabbrica occupava gli ultimi tre piani di un palazzo di dieci piani, 62 delle vittime morirono nel tentativo disperato di salvarsi lanciandosi dalle finestre dello stabile non essendoci altra via d’uscita. I proprietari della fabbrica che al momento dell’incendio si trovavano al decimo piano e, che tenevano chiuse a chiave le operaie per paura che rubassero o facessero troppe pause, si misero in salvo e lasciarono morire le donne.
Il processo che seguì li assolse e l’assicurazione pagò loro 445 dollari per ogni operaia morta: il risarcimento alle famiglie fu di 75 dollari. Migliaia di persone presero parte ai funerali delle operaie.
L’ Internazionale comunista, fissò all'8 marzo la «Giornata internazionale dell'operaia».
Le donne riuscirono ad uscire dal buio con il movimento delle Suffragette, scesero in piazza a rivendicare i loro diritti. Il movimento femminile aveva come scopo il raggiungimento di una parità rispetto agli uomini non solo dal punto di vista politico ma anche giuridico ed economico. Esse volevano poter insegnare nelle scuole, l'uguaglianza dei diritti civili, svolgere le stesse professioni degli uomini e soprattutto godere del diritto elettorale o di suffragio, termine dal quale deriva appunto il nome con il quale si era soliti indicare le partecipanti al movimento (da suffragio). In Italia le donne votarono per la prima volta il 2 giugno 1946. Può un diritto essere considerato femminismo?
Questo essere inferiore riuscì così ad alzare la sua voce ed ottenere le prime conquiste. Non poteva lavorare, non poteva studiare, esclusa dalla letteratura. La scrittrice Virginia Woolf portò come una condanna il suo essere donna. Tentò più volte il suicidio, vittima di una società piena di stereotipi. In lei c’è una grande vitalità, la voglia di fare ironia ed una forza, forza che viene dalla sua anima femminile, pronta a sfidare il mondo con i suoi scritti, con la sua intelligenza. Assumendo una posizione sociale che ai tempi era pregiudizievole: «Continuerò ad azzardare, ad aprire la mente e gli occhi, rifiutando di lasciarmi incasellare e stereotipare. Ciò che conta è liberare il proprio io: lasciare che trovi le sue dimensioni, che non abbia vincoli. E benché questo, al solito, sia solo un colpo sparato a casaccio, ha dentro molta sostanza. Ottobre è stato un brutto mese, ma avrebbe potuto essere molto peggiore senza la mia filosofia».
Il complesso di visioni del mondo, di norme e stereotipi che da secoli ci accompagnano si riassumono nelle parole “questione femminile”. Numerose culture hanno riservato alla donna ruoli marginali, limitandole alla procreazione e alla cura della famiglia. Cose che sono nel cuore di ogni donna ma, insieme ad un grande universo per troppo tempo ignorato. Non vogliono fiori, semplici simboli, né cene ma solo uguaglianza e libertà. Sarebbe bello se ci si fermasse a riflettere su quanto sia difficile essere donna in questa epoca moderna. Donne oggetto, donne stuprate, donne dal viso coperto. Donne ancora emarginate che continuano la loro lotta. Vogliamo ricordare tutte loro, questo il significato simbolico e profondo dell’8 marzo.